Pubblichiamo di seguito la lettera di replica che il fondatore e Presidente di “Ammazzateci tutti”, Aldo Pecora, ha scritto ai responsabili di Repubblica in merito all’inchiesta “Il lato oscuro dell’antimafia”. Si specifica che la redazione web del quotidiano “La Repubblica”, da noi espressamente sollecitata perché per diversi giorni non erano giunti riscontri alla lettera, ha risposto con una mail sostenendo di non voler dar seguito alla pubblicazione della replica.
Rammaricati, prendiamo atto di tale censura, affidandoci pienamente – anche in questo caso – alle Istituzioni ed al sereno e severo giudizio della magistratura.
Caro direttore Ezio Mauro, caro direttore Vittorio Zucconi,
anche se con il primo non ci conosciamo personalmente (il grande Zucconi ho avuto il piacere e l’onore di conoscerlo ad un dibattito al quale ero ospite con Nicola Gratteri al castello di Pizzo alcuni anni addietro) vi scrivo dando a entrambi del tu in quanto, seppur ancora molta strada mi separa da voi (e non solo geograficamente), sono anche un giovane collega giornalista.
Vorrete perdonarmi se non sarò affatto breve in questa mia lettera aperta, che vi chiedo di voler cortesemente pubblicare nella sua interezza (la versione integrale, ancor più dettagliata, sarà pubblicata sul mio blog), non tanto per il diritto di replica che mi spetta, quanto perché auspico che da questo episodio possa scaturire un serio, coraggioso e de-ideologizzato ragionamento circa il fare ed essere antimafia oggi in Italia.
Ho letto con molta attenzione l’ampio e articolato reportage su “Il lato oscuro dell’antimafia”, ed ho riflettuto molto su come reagire alla crudele e immotivata menzione nei confronti miei di“Ammazzateci tutti”. L’idea iniziale era di mantenere un profilo basso e di non replicare all’articolo, affidandomi (mio malgrado) – come sono abituato – soltanto ai miei legali ed, attraverso di loro, al giudizio della magistratura. Poi, però, ho deciso fosse anche giusto rispondere nel merito, dopo aver constatato coi miei occhi sui canali Facebook e Twitter della collega Angeli l’accanimento con il quale ha perseverato nel rilanciare il suo reportage: comportamenti rasenti il persecutorio, con toni più ascrivibili a un capo ultras che ad una giornalista severa ed imparziale, che sa e ritiene di aver fatto nient’altro che il proprio dovere e non ha bisogno di ricorrere ai tribuni della plebe. Mi riferisco ad alcuni post/tweet che cito espressamente, senza esprimere giudizio alcuno sul contenuto (semmai saranno i lettori a farselo). Scrive, testuale, Federica Angeli: «vi ripropongo l’inchiesta sulla finta antimafia». Poche ore dopo, affida alla rete un altro post con i primi numeri circa i lettori della sua inchiesta: «è stata condivisa da 1.700 persone in poche ore […] visualizzata da almeno 50mila». Poi ancora, sibillina, la sentenza: «<prevedo la morte immediata di tantissime piccole e ignobili finte associazioni antimafia». Neanche un paio d’ore e, prima di culminare con l’ennesima autocelebrazione, affidata la scorsa notte alla sua pagina Facebook («4000 condivisioni. Buonanotte»), rilancia in un ulteriore post la sua personalissima whitelist fatta frettolosamente avallare al termine di un’intervista (probabilmente telefonica) niente meno che dal procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, il quale, come evidenziato tutto in maiuscolo, «ci dice di quali associazioni possiamo fidarci».
A tal proposito, dato che sono sicuro della totale buona fede del vostro interlocutore e perché ovviamente capirete che adesso questo per noi diventa un “punto d’onore”, non ho timore nel chiedere ufficialmente e pubblicamente al procuratore Roberti se qualora la collega Angeli non avesse deliberatamente omesso da quella lista di associazioni («la capofila Libera, daSud, il movimento Agende Rosse, Caponnetto, Addiopizzo di Palermo») anche “Ammazzateci tutti”, la sua risposta sarebbe stata comunque «assolutamente sì» oppure un’altra.
Ma veniamo alla “notizia”, riesumata da non so quale sarcofago dalla collega Angeli, inserita già dall’introduzione in un contesto suggestivo e pregiudizievole: «l‘antimafia come arricchimento personale è però un volume che si compone di diversi capitoli». E’ inaccettabile! Provi a spiegarlo, Federica Angeli, come ci saremmo arricchiti facendo antimafia. Lo spieghi a me ed a tutti i vostri lettori, prima che alla giustizia, spieghi come e quando io o chiunque dei volontari e dirigenti di “Ammazzateci tutti” ci saremmo arricchiti, essendo volutamente il nostro, sin dalla sua nascita, un movimento autofinanziato e con un bilancio annuale che farebbe ridere anche il più sgangherato circolo ricreativo, fatto di ragazzi e ragazze che da anni vanno a loro spese a incontrare gli studenti delle scuole di tutta Italia e promuovere attività di sensibilizzazione e incontri tra la gente, sempre a nostre spese (fatta eccezione per una sola iniziativa, “Legalitàlia”, il meeting da noi promosso da otto anni in occasione dell’anniversario dell’assassinio del giudice Scopelliti con l’alto patronato del presidente della Repubblica e con il patrocinio di istituzioni locali e nazionali, ove le spese sono compartecipate dalle istituzioni locali e da selezionatissimi piccoli partners privati).
Nel merito dei fatti, è vero: il 7 febbraio 2012 il palazzo dove la mia famiglia abitava in affitto dal 1998 (una palazzina composta di 14 appartamenti, alcuni abitati da famiglie specchiate (di cui una di stretti congiunti di una nota attivista dell’associazione Libera), altri adibiti ad uffici di rispettabilissimi professionisti, e tre locali commerciali) è stato sottoposto a sequestro preventivo da parte dell’autorità giudiziaria, perché ritenuto riconducibile al patrimonio di Vincenzo Longo, presunto capo della omonima famiglia di Polistena oggetto, con altri, della cosiddetta operazione “Scacco Matto” del 2011, persona con la quale non ho mai avuto niente a che spartire e che, inutile dirlo, non conosco neanche di vista.
A proposito di “Scatto Matto”, a mero titolo di cronaca riporto un episodio molto simile a quello che purtroppo ha visto protagonista Federica Angeli e per il quale le è stata assegnata la scorta. Nella stessa operazione, peraltro, fu tratto in arresto perché sospetto affiliato alla ‘ndrina dei Longo anche uno dei presunti aggressori che poco tempo prima avevano inseguito in auto mio padre e mio fratello fino sotto la porta di casa della sua fidanzata, minacciandoli una volta scesi dall’auto e costringendoli a trovare fortunatamente riparo nell’atrio di casa della ragazza.
E questo è solo uno delle decine di episodi di intimidazione, alcuni dei quali molto gravi, che abbiamo subito e che abbiamo sempre puntualmente denunciato alle autorità competenti. Senza fare proclami o vittimizzarci in pubblica piazza.
Io vivo a Roma dal 2004, e come tutti gli studenti fuori sede (quelli onesti, non quelli che per pagare meno tasse si fanno levare dallo stato di famiglia già all’ultimo anno delle scuole superiori) non ho mai spostato la residenza dalla casa dei miei genitori. Dal giugno 2011, invece, sono proprietario di un vecchio appartamento (sarebbe bastata una semplice visura catastale a mio nome per saperlo) per il quale, contestualmente all’acquisto ho chiesto di poter usufruire dei benefici fiscali di “prima casa” avendo, quindi, l’obbligo di fissare lì – con gli opportuni tempi tecnici – la mia residenza, pena la perdita di tale beneficio.
I miei genitori, invece, immediatamente dopo il sequestro non hanno atteso che il palazzo fosse dissequestrato o confiscato e si sono dati subito da fare per cercare un’altra soluzione abitativa. E dalla primavera appena trascorsa sono inquilini di un altro appartamento, sempre in affitto. Tutto ciò prima (e sottolineo prima) che il sequestro fosse convertito in confisca da parte del Tribunale di Palmi, come avvenuto il 9 luglio scorso.
Non capisco, sinceramente, con quale intento la collega Angeli abbia deliberatamente deciso di inserirci nel tritacarne, disseppellendo e alimentando una delle tante “macchine del fango” che non tanto le mafie quanto soprattutto ben individuabili lobbies e gruppi di potere politico-affaristico-giornalistici calabresi, nostri nemici giurati (che non solo ho contribuito a “sputtanare” più volte ma che ho anche portato in tribunale e fatto già condannare), avevano messo in piedi nel tentativo di delegittimare me e il nostro movimento con quelle stesse armi che fanno più male delle pallottole e che hanno visto, negli anni, precedenti molto più illustri del sottoscritto, da Giovanni Falcone fino a Roberto Saviano, nonché proprio la stessa Federica, che fa bene a denunciare le calunnie e le diffamazioni che subisce a causa del suo impegno e del suo lavoro. Certo, le sarebbe bastato approfondire bene la vicenda, o per sua etica professionale sentire anche la mia campana prima di scrivere, e avrebbe certamente scelto di pensare a cose ben più importanti, anche perché, come lei stessa scrive, ci siamo affidati alla giustizia. Ed alla giustizia sono abituato e continuerò ad affidarmi, come in questo caso, senza la presunzione di mettermi al di sopra di essa.
Ma la cosa che mi fa ancora più ribrezzo è vedere il mio nome anche solo accostato a quello di Rosy Canale (dalla quale siamo stati i primi a prendere le distanze in tempi non sospetti e quando questa ostentava ottime entrature nei salotti buoni a Reggio e a Roma), proprio per quelle schifezze che, lei sì (come altri meno noti esponenti del settore) pare abbia perpetrato, mangiando a chiacchiere e antimafia come diciamo qui in Calabria «a quattru ganghi» (a quattro palmenti) sulla pelle di chi invece la contrasta veramente. Non solo. Sono davvero dispiaciuto perché la collega ha volutamente distinto a suo piacimento tra “buoni e cattivi” tra “fidati e farabutti”, dispensando patenti d’onestà a destra e a manca (anzi, vista la gran parte delle associazioni gradite all’articolista potrei dire solo a manca!) non rendendo certo un buon servizio al giornalismo d’inchiesta e men che meno alla lotta alle mafie.
Non ero certo tenuto a dovermi “difendere”, ma tanto sono grandi la rabbia, l’indignazione e lo scoramento che ho sentito di volerli condividere con chiunque vorrà leggere queste mie righe, delle quali voglio lasciare traccia indelebile, “a futura memoria”.
Non è la prima volta che mi capita di vivere sulla mia pelle l’esperienza di essere trattato come un imputato quando invece sono la vittima di un delitto. E’ capitato di recente anche in un’udienza di un processo (uno dei tanti che mi vedono parte offesa) per delle minacce telefoniche notturne ricevute sul mio cellulare. Il giudice, del quale non dirò in questa sede il nome per il rispetto che porto alla giustizia, mi disse «ma come, Pecora, lei parla di preoccupazione e di non averci dormito la notte per minacce avvenute nel 2010, dopo cinque anni avrebbe dovuto già farci il callo ad episodi come questi» e poi ancora, «conosco magistrati in terre di frontiera che vivono in situazioni di estremo pericolo e con preoccupazioni molto più gravi delle sue». Alché, in un mix di sentimenti tra lo stupore, l’incredulo e il disilluso gli rispondo d’impeto: «è vero, signor giudice, ma loro fanno il loro lavoro, hanno la scorta e la mia totale ammirazione. Io sono un semplice cittadino di 24 anni, che spesso e volentieri si muove da solo, e che la scorta non ce l’ha. Detto ciò se per lei è normale essere minacciati di morte da ignoti nel cuore della notte sul proprio cellulare…».
Adesso vorrei lanciare una sfida a Federica: sii conseguenziale ai tuoi propositi. Se avvertirai la sensazione di aver sbagliato su qualcosa o qualcuno, correggi il tiro, dici “ho sbagliato”, chiedi scusa, capita a tutti prima o poi di inciampare e sarai onesta se lo riconoscerai, oppure inaspriscilo se vorrai scoprire altre magagne. Hai la possibilità di scrivere su un grande quotidiano, una vetrina che come hai visto raggiunge numeri che altri ci sogniamo. Usala!
Diventi questo reportage la base per un grande dossier che davvero aiuti noi addetti ai lavori e chi ci sostiene a passare ai “raggi X” un mondo che tu, credimi, neanche minimamente immagini, e che come tutte le cose della natura umana è fatta di luci ed ombre ben più inquietanti di quelle che hai raccontato.
Qualche tempo fa il collega e amico Massimo Martini, peraltro fondatore dell’Associazione Nazionale dei Sostenitori delle Forze dell’Ordine, si era proposto di farne addirittura un libro: “Antimafia SpA”. Pur volendo non potrei riuscire a trovare descrizione più efficace del fenomeno.
E non mi riferisco solo alle associazioni, tutte, da Libera in giù, ma anche a quella pattuglia di sempreverdi professori, consulenti, esperti, e chi più ne ha più ne metta “professionisti dell’antimafia” che a suon di compensi a tre e a volte anche cinque zeri da parte di regioni, provincie, comuni, università, enti, negli ultimi vent’anni hanno, loro sì, trasformato l’antimafia in business. Perché su una cosa siamo tutti d’accordo: è vero che di mafia si muore ma di antimafia, spesso, si campa. E pure bene.
Polistena, lì 10 settembre 2014
LEGGI LA VERSIONE INTEGRALE DELLA REPLICA. TUTTI I NOMI E I RETROSCENA.
Aldo Pecora
giornalista, presidente “Ammazzateci tutti”