FIRENZE, 24 nov. – Totò Riina torna sul banco degli imputati per un nuovo processo. Domani, martedì 25 novembre, nell’aula bunker di Firenze, inizia davanti alla Corte d’Assise il dibattimento per la strage del treno rapido 904 Napoli-Milano del 23 dicembre 1984, dove il boss dei boss di Cosa Nostra compare come unico imputato. Riina è accusato di essere il mandante, il determinatore e l’istigatore dell’attentato che costò la vita a 16 passeggeri e dove rimasero ferite 267 persone. Per la strage del rapido 904 sono stati già condannati in concorso, in via definitiva, i boss Giuseppe Calò, Guido Cercola, Franco Di Agostino e l’artificiere Friedrich Schaudinn. Durante l’udienza preliminare che si è svolta il 13 maggio scorso davanti al Tribunale di Firenze, conclusa con il rinvio a giudizio di Riina, che era in videocollegamento dal carcere di Parma, si sono costituite come parti civili la Presidenza del Consiglio dei ministri, il ministero dell’Interno, la Regione Toscana, l’associazione dei famigliari delle vittime della strage del rapido 904 e anche alcuni singoli famigliari. Secondo la Direzione distrettuale antimafia di Firenze, che ha condotte le indagini, Riina è da considerare il mandante della strage di trent’anni fa “nella qualità di capo indiscusso” di Cosa Nostra. La strage fu programmata e decisa da Riina, secondo la Procura, “con l’impiego di materiale (esplosivo e congegni elettronici)” appartenente all’organizzazione criminale e poi utilizzato poi, in parte, anche nelle successive stragi mafiose del 1992 e 1993.
La strage terroristica del 23 dicembre 1984, con una bomba fatta scoppiare alle ore 19.08 all’interno della grande galleria dell’Appenino tosco-emiliano a San Benedetto Val di Sambro, fu commessa, secondo l’atto di accusa della Procura di Firenze, “al fine di agevolare od occultare” l’attività di Cosa Nostra per mantenere ed assicurare “l’impunità degli affiliati e garantendo la sopravvivenza della stessa organizzazione”. Secondo l’inchiesta, la strage del rapido 904 fu ordinata da Riina come risposta al maxi processo istruito dall’allora giudice Giovanni Falcone che pochi mesi prima aveva disposto 366 mandati di cattura contro boss e affiliati di Cosa nostra. Oltre alle testimonianze di pentiti di camorra e dell’ex capo del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato (Palermo), Giovanni Brusca, tra le prove a carico di Riina ci sono i materiali esplosivi e i congegni elettronici utilizzati per la strage terroristica, che sarebbero stati prelevati dallo stesso deposito utilizzato poi per le successive stragi mafiose dei primi anni Novanta, compresa la strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992 in cui fu ucciso il giudice Paolo Borsellino.
Secondo le indagini, prima condotte dalla Dda di Napoli e poi trasferite a Firenze per competenza territoriale, l’esplosivo (tra cui tritolo e dinamite) sarebbe stato prelevato da un deposito in contrada Giambascio a San Giuseppe Jato, controllato da Giovanni Brusca. A ‘incastrare’ Riina, oltre alle dichiarazioni rese da Giovanni Brusca, ci sono le testimonianze concordanti di numerosi pentiti, tra i quali Luigi Giuliano, Guglielmo Giuliano, Salvatore Stolder, Francesco Franzese, Gioacchino La Barbera, Leonardo Messina, Antonino Giuffrè, Giovanbattista Ferrante e Salvatore Giuliano, oltre alle indagini e agli accertamenti condotti dal Ros dei carabinieri di Napoli. Agli atti del processo è allegata anche una consulenza con analisi comparativa dei diversi reperti rinvenuti e sequestrati nell’ambito delle indagini sull’attentato al rapido 904 e l’esplosivo rinvenuto a Poggio San Lorenzo e quello in occasione del maxi sequestro di contrada Giambascio di San Giuseppe Jato e altri “analoghi episodi di analoga matrice avvenbuti tra la fine degli anni ’80 e fino alla prima metà degli anni ’90”.
(fonte: AdnKronos)