Per non dimenticare: Giovanni Falcone

23 maggio 1992/2010 - RICORDATI DI RICORDAREGiovanni Falcone, nato a Palermo, dopo una breve esperienza all’Accademia Navale di Livorno, studia Giurisprudenza all’Università degli studi di Palermo dove si laurea con lode nel 1961, con una tesi sulla “Istruzione probatoria in diritto amministrativo”.

Vince il concorso in magistratura nel 1964 e dopo essere stato pretore a Lentini e poi sostituto procuratore a Trapani per 12 anni arriva a Palermo, dove, dopo l’omicidio del giudice Cesare Terranova, comincia a lavorare all’ufficio istruzione. Il consigliere istruttore Rocco Chinnici gli affida, nel maggio 1980, le indagini contro Rosario Spatola, un lavoro che coinvolgeva anche criminali negli Stati Uniti e che era osteggiato da alcuni altri magistrati. Alle prese con questo caso, Falcone comprese che per indagare con successo associazioni mafiose era necessario basarsi anche su indagini patrimoniali e bancarie, per ricostruire il percorso del denaro che accompagnava i traffici e ricostruire un quadro complessivo del fenomeno e per evitare la serie di assoluzioni con cui si erano conclusi i precedenti processi contro la mafia.

La svolta nelle indagini, non solo per la conoscenza di determinati fatti di mafia, ma specialmente della struttura dell’organizzazione Cosa nostra, si ha con l’interrogatorio iniziato a Roma nel luglio 1984 in presenza del sostituto procuratore Vincenzo Geraci e di Gianni De Gennaro, del Nucleo operativo della Criminalpol, del primo e più celebre ‘’pentito’’ di mafia, Tommaso Buscetta.

Le indagini portate avanti da Falcone e dal pool di magistrati, sull’esempio di quelli organizzati contro il terrorismo pochi anni prima, portano ad istruire il primo maxiprocesso fatto a Palermo (che termina il 16 novembre 1987) contro la mafia, che vedeva imputate 475 persone. Dopo l’omicidio di Giuseppe Montana e Ninni Cassarà nell’estate 1985, stretti collaboratori di Falcone e Borsellino, si comincia a temere per l’incolumità anche dei due magistrati, che sono costretti per motivi di sicurezza a soggiornare qualche tempo con le famiglie presso il carcere dell’Asinara.

Nel gennaio 1985 il Consiglio Superiore della Magistratura, nella votazione fra Falcone e Antonino Meli, basandosi sull’anzianità di servizio, nomina il secondo a capo dell’Ufficio istruzione di Palermo, in luogo di Caponnetto che aveva lasciato l’incarico per raggiunti limiti di età. Da questo momento in poi Falcone e il suo pool sono costretti a fronteggiare un numero sempre crescente di ostacoli alla loro attività: anche la Cassazione sconfessa l’unitarietà delle indagini in fatto di mafia affermata da Falcone e dall’esperienza del suo pool. In questo periodo si svolge anche la vicenda del “corvo”, una serie di lettere anonime diffamanti il Pool antimafia e i suoi membri. Nell’autunno 1986 Meli scioglie ufficialmente il pool. Qualche tempo dopo Claudio Martelli, allora vicepresidente del Consiglio e ministro di Grazia e Giustizia ad interim, offre a Falcone di dirigere la sezione Affari Penali del ministero.

In questo periodo, che va dal 1991 alla sua morte due anni dopo, Falcone fu molto attivo, cercando in ogni modo di rendere più efficace ed incisiva l’azione della magistratura contro il crimine. Al ministero Martelli e Falcone lavorano al progetto della Superprocura antimafia.

Falcone muore nella strage di Capaci il 23 maggio 1992. Una carica di 500 chili di tritolo posizionata sotto il tratto di autostrada nei pressi di Capaci, fa saltare in aria le due auto blindate su cui viaggiano Falcone con la moglie e l’autista, e i tre agenti della scorta. Si salva solo l’autista della macchina di Falcone.Insieme a Falcone e alla moglie Francesca Morvillo, magistrato anche lei, muoiono gli agenti di scorta Rocco Di Cillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro.

Per la strage di Capaci, la corte d’assise di Caltanissetta, il 26 settembre 1997, ha emesso 26 condanne all’ergastolo, in sostanza l’intera ‘’cupola’’ di Cosa Nostra. Il 9 aprile 2000 i giudici di secondo grado hanno confermato la sentenza, e aggiunto altre tre condanne al carcere a vita. La Cassazione ha riformato in parte il verdetto, annullando alcune condanne e rinviando il processo a Catania. Tra gli imputati condannati definitivamente all’ ergastolo, oltre a Totò Riina e Bernardo Provenzano, figurano altri boss tra cui Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca.

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