Che fosse un giornalista, per la verità, se ne sono accorti solo dopo che è morto e gli hanno fatto, meglio tardi che mai, il tesserino professionale alla memoria. Dalla "Sicilia" di Catania, il giornale di cui era corrispondente, prendeva cinquemila lire a pezzo, più eventualmente qualcosa per le foto; ha avuto anche una colonnina di piombo il giorno dopo che l'hanno ammazzato e alcuni articoli elogiativi – cosa che richiede una più matura riflessione – nei giorni dopo. Ha avuto infine l'onore di un diretto interessamento – lui povero cronista rompicoglioni – delle Autorità Cittadine, qualche giorno dopo: non per partecipare al funerale, dioceneliberi, o per proclamare il lutto cittadino; ma per far ritirare, sia pure non subito e dopo le istanze della famiglia, i cassonetti della spazzatura che qualche altra autorità aveva fatto piazzare, poco dopo l'omicidio, sul luogo della sua morte. «Ho chiesto alla "Sicilia" la raccolta degli articoli di Alfano – dice il giudice Olindo Canali, l'unico del paese che si ricordi ancora di lui – Mi servivano per le indagini. Li sto aspettando ancora. Finora, non me li hanno mandati».
L'altro ieri, una scuola – il tecnico industriale "Galileo" – doveva fare un'assemblea-dibattito sulla mafia, la prima del paese. L'unico posto in cui a Barcellona è possibile infilare trecento persone insieme è il cinema "Corallo": gli studenti ci sono andati e si son sentiti rispondere che l'assemblea sulla mafia si paga trecentomila lire all'ora, per la prima ora, e duecentomila per ogni ora successiva. Sulla via del ritorno, qualcuno di loro è passato davanti all'enorme carcassa del Teatro Mandanici, dove di assemblee così se ne potrebbero fare venti, e gratis visto che è una struttura pubblica: solo che il teatro, regolarmente appaltato, "lavorato" e pagato almeno vent'anni fa, da allora non è mai stato finito ed è tuttora inagibile, e desolatamente vuoto. Lo stesso vale per il Palazzetto dello sport, ancora da completare dopo vent'anni, e per l'ospedale, iniziato vent'anni fa.
Nella storia di Barcellona, corrispondono – grosso modo – alle piramidi egizie, del tutto inutili all'apparenza ma investite in realtà del preciso scopo di testimoniare nei secoli la potenza del faraone: nella fattispecie, Carmelo Santalco, che dopo la morte di Lima e il ritiro del catanese Drago è rimasto l'ultimo grande andreottiano di Sicilia. Questo per l'evo antico. L'era moderna comincia invece con la Pista dell'Oregon, ovvero la nuova ferrovia Messina Palermo, cominciata – chissà perché – nei feudi di Pace del Mela e faticosamente procedente, anno dopo anno e subappalto dopo subappalto (ma l'appalto principale è saldamente in mano ai Fratelli Costanzo, famosi cavalieri catanesi), verso il lontano ovest. Via via che la pista procede si sposta la linea dei miliardi, e arrivano le estorsioni, i morti ammazzati e i subappalti. Ciascuno dei morti ammazzati ha diritto a qualche riga in cronaca sui giornali locali del giorno dopo, e poi al più rispettoso e totale silenzio-stampa.
Morire ammazzati è brutto dappertutto, ma da queste parti è particolarmente incazzante. Come per quel tizio che uccisero, uno che con queste storie non c'entrava niente ma faceva il falegname come un tale della Famiglia rivale, l'aprile scorso qui a Terme. I killer si accorsero, una settimana dopo, di aver fatto fuori il falegname sbagliato: sorry, pensarono fra sé, abbiamo sbagliato. Uccisero anche il falegname giusto e se ne andarono con la coscienza in pace).
A Barcellona, la Pista è arrivata fra l'Ottantasei e l'Ottantotto e la guerra è stata fra la Famiglia Chiofalo e la Famiglia Milone: i primi della vicina Terme Vigliadore e dissidenti; i secondi, articolati in una costellazione di cognomi (Ofria, Beneduci, Marchetta) barcellonesi puri e seguaci della Famiglia Santapaola di Catania. I Santapaola, nella zona, c'erano già da molto tempo: negli anni Ottanta con Antonino Santapaola, "detenuto" al manicomio di Barcellona dove in realtà faceva, protetto dalle autorità dell'istituto, il bello e il cattivo tempo; ma già prima ancora, fra il 1979 e il 1980, sulle montagne dei Nebrodi, a Cesarò, dove in un rifugio di montagna tenevano i loro incontri "don" Nitto Santapaola e i catanesi fratelli Cutaja, trafficanti internazionali di morfina-base e cocaina. La guerra della ferrovia finì comunque dopo un numero imprecisato di morti, con l'ergastolo di "don" Antonino Chiofalo, e l'arresto, per carico di droga, di "don" Carmelo Milone; nel frattempo la Pista passò avanti. Il principale accumulo ufficiale di capitali, nella zona, risulta essere adesso quello delle "finanziarie di fatto" che si sono venute a formare attorno all'Aias: ne abbiamo scritto su "Avvenimenti", ne aveva scritto anche Giuseppe Alfano; la Procura di Barcellona ha aperto un'inchiesta che rischia di estendersi su tutta la Sicilia.
In casa Alfano, un computer Macintosh, dei libri su Charles Aznavour, delle foto… Le povere cose che restano della vita di un uomo che ha avuto dignità. «Mio marito, mio marito che sorrideva…». «Mio padre e l'indifferenza di questa città…».
«Indagate sulle donne, vedete un po' se giocava a carte…». Anche agli investigatori di Barcellona son giunti gli autorevoli suggerimenti che arrivano immancabilmente in questi casi. Anche stasera, come ogni sera, le centinaia di tossici di Barcellona si "faranno" con la roba fornita, a prezzi popolari, dagli uomini dei boss. Anche stasera i ragazzi dell'Arci e don Pippo Inzana apriranno la loro sede a chi avrà bisogno di loro, alla comunità dei lavoratori immigrati. E anche stasera alle dieci chiuderà l'ultimo bar di piazza San Sebastiano e la città resterà silenziosa, e apparentemente addormentata. Come sempre.
Dario Russo