Credevamo di aver visto, e subìto, davvero di tutto, e invece ci sbagliavamo. A leggere le cronache di questi giorni vien quasi da rimpiangere quel 60% di componenti indagati che nella scorsa consiliatura ci fece guadagnare il poco invidiabile titolo di consiglio regionale più inquisito d’Italia, quella vergogna tutta calabrese che noi, poco più che ventenni e reduci dalle mobilitazioni contro la ‘ndrangheta a Locri e in tutta la Calabria dopo il delitto Fortugno e Duisburg, abbiamo contribuito ad avversare come tanti piccoli Don Chisciotte, consapevoli che prima o poi, o avremmo abbattuto quei mulini, o avremmo comunque contribuito a far cambiare il vento.
Oggi, mentre a furia di lottare controvento alcuni di noi hanno visto colorarsi di bianco qualche capello e altri hanno iniziato a perderli del tutto, la nostra classe politica da un lato dimezza il numero di consiglieri regionali (che dalla prossima legislatura scenderanno da cinquanta a trenta), dall’altro si vede raddoppiare quello degli indagati: quarantaquattro.
Un sorriso, amaro, pensando al noto brano vincitore dello “Zecchino d’Oro”, vorresti metterli “in fila per sei col resto di due” (e magari spedirli chissà dove). Il problema è che non stiamo parlando di qualche decina di simpatici e ruffiani gattini riuniti nella cantina di un palazzone, ma della stragrande maggioranza degli inquilini del più importante palazzo delle Istituzioni calabresi, indagati a vario titolo dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria nella cosiddetta “rimborsopoli”, ovvero su quel milione e mezzo di euro a bilancio del consiglio regionale (soldi nostri, dei calabresi) presumibilmente spesi e rendicontati (e qui ci vuole proprio faccia tosta) dai consiglieri nostrani fuori dalla legalità e dal buon senso. E non resta fuori dalle accuse nessuna, nessuna, nessuna forza politica regionale. Quarantaquattro consiglieri indagati su cinquanta, l’88% della massima assise calabrese. Una enormità.
Sembra incredibile finanche a scriverlo, eppure è la drammatica realtà: rappresentazione plastica del dramma etico di una regione che si è meritata con il voto, non espresso o espresso male, e con il disinteresse delle persone oneste per la politica, la peggior classe dirigente d’Italia.
Certo, è possibile ed auspicabile, come avvenuto anche in Calabria in un passato non molto lontano col “manettarismo” di magistrati-popstar che poi hanno giustamente cambiato mestiere, che questi numeri possano poi essere dimezzati in sede processuale, e spesso con assoluzioni con formula piena. Per fortuna non tutti i magistrati, anzi, la stragrande maggioranza di questi, che rischiano la vita ogni giorno, non inseguono i titoloni di giornali e tv: fanno semplicemente il loro lavoro, con zelo e con la consapevolezza che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge.
Ma il problema è a monte: non vi è una democrazia sana laddove, per fare “pulizia”, la magistratura arrivi sempre prima della politica stessa e dell’informazione. Può capitare in un caso, in due, ma non può metodicamente ed ineluttabilmente essere così.
Una situazione di degrado etico e morale così fuori controllo, a questi livelli, non può passare inosservata tra gli addetti ai lavori. E nel merito del sistema delle corruttele e della disonestà in politica ha ragione il premier Matteo Renzi: chi ruba allo Stato, e quindi ai cittadini, dovrebbe essere accusato non di reati contro il patrimonio, ma di alto tradimento, perché è immorale oltre che illegale, è da farabutti sottrarre anche un solo euro di denaro pubblico, dopo che spesso si è remunerati in maniera anche faraonica per svolgere il ruolo di politici o di consulenti della politica.
Ed io aggiungo che se questo comportamento è immorale in assoluto, quando si riscontra in politici che operano in una regione quale la nostra Calabria, la più povera del Paese, laddove ogni giorno padri e madri di famiglia sono disperati per non riuscire a garantire nemmeno il pranzo e la cena, o i vestiti, o lo studio ai propri figli, allora il fenomeno travalica l’immoralità e la delinquenza e diventa orrido, mostruoso, un vero e proprio crimine contro l’umanità, come per la ‘ndrangheta, e come tale dovrebbe essere perseguito e punito: con l’imprescrittibilità dei reati commessi, il massimo della pena edittale prevista dal codice penale quando si tratta di reati di mafia, la “morte civile” con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e la confisca di tutti i beni a qualsiasi titolo riconducibili al politico ladro o corrotto.
In una regione come la Calabria, dove l’economia del settore primario è in ginocchio, ed il secondario di fatto non esiste se non in pillole, l’Ente Regionale, che gestisce ed amministra direttamente o indirettamente più del 75% del settore terziario e la quasi totalità delle risorse finanziarie pubbliche in termini di fondi europei e trasferimenti dello Stato, ha di fatto potere di vita e di morte sull’economia calabrese, come se gestisse e disponesse in esclusiva dell’aria da respirare, o dell’acqua da bere dei cittadini.
Se la Calabria si trova nelle condizioni economiche che tutti conosciamo, e che l’Istat impietosamente fotografa anno per anno, mentre le altre regioni meridionali ci staccano, in un modo o nell’altro, nella classifica del benessere e del PIL, avendo premesso che la nostra regione, come già accennato, non ha risorse economiche significative provenienti da agricoltura o industria, allora l’evidenza che la Calabria ha avuto negli ultimi quarant’anni una classe politica incapace per i calabresi – ma capacissima per se stessa – balza agli occhi chiara come la luce del nostro sole.
Qui c’è veramente bisogno di un nuovo inizio, di un azzeramento senza mezzi termini di tutto ciò che è stato “classe politica” fino ad oggi in Calabria, rispettando ovviamente le dovute e doverose eccezioni, che proprio perché “eccezioni”, e non la normalità, rappresentano ancor più il dramma della nostra terra.
Bisogna avere tutti un grande coraggio, nella consapevolezza che la Calabria ha nascoste, nello scrigno prezioso del suo popolo, le risorse umane e le competenze tecniche e professionali per tirarsi da sola fuori dalla palude.
Ma ci vuole la generosità, per la politica, di andarle a cercare queste risorse e di valorizzarle per ciò che rappresentano, non per i voti che possono portare. I voti arriveranno dopo, ne sono sicuro, quando la gente comincerà a vedere con i propri occhi la bellezza di una politica che torna ad essere “la più alta forma di carità”, come la definì Papa Paolo VI.
E come arriveranno i voti per la speranza che si riaccenderà, allo stesso modo quegli stessi voti si allontaneranno inesorabilmente da coloro che quella speranza l’avevano uccisa, facendosi forti di una forza che non era loro, ma era della democrazia che avevano stuprato indecorosamente. Non esistono più i “signori delle tessere”, i carovanieri dei congressi truccati, sono stati archiviati dal tempo e dalla storia. Alla politica la scelta se far loro un definitivo funerale, o farsi seppellire nel loro stesso sarcofago.
La prossima volta, in Calabria, il voto sarà una rivoluzione. Ed il popolo calabrese, che si è svegliato per i morsi della fame, non farà prigionieri.
Lo dico, anzi, faccio appello pubblicamente alla mia generazione, alle giovani e ai giovani calabresi, alle loro famiglie, alla società civile, alle parti sociali e a tutti i calabresi di buona volontà: se rivoluzione non sarà, se prevarranno codardia e rassegnazione, se subappalteremo nuovamente i nostri sogni, le nostre speranze e la nostra dignità, se non troveremo il coraggio di osare, di cambiare radicalmente la nostra Calabria e il nostro Mezzogiorno, allora avremo perso finanche il diritto di vederla in cartolina, la nostra terra.
Aldo V. Pecora
presidente “Ammazzateci Tutti”