[…]
—–
Ho appena il tempo per una doccia, nell’unico albergo <<consigliato>> della zona, tra Locri e Siderno, lungo la famigerata statale 106, di cui si parla come di una nemica in agguato per le tante vittime che ha fatto. I ragazzi sono già nella hall. Il leader di <<Ammazzateci tutti>> è Aldo Pecora, un giovanotto dai capelli folti e corvini, grandi occhi scuri, uno sguardo che ti avvolge, la Calabria stampata in faccia. Fu lui, all’indomani del delitto Fortugno, consumato nell’androne di Palazzo Nieddu in pieno centro di Locri, a guidare quel ribollente corteo, saturo di rabbia innocente, con migliaia di ragazzi accorsi da tutte le parti. E in testa lo striscione che fece il giro del mondo: <<E adesso ammazzateci tutti>>. Da ogni parte d’Italia arrivavano messaggi, soprattutto dalle scuole: <<Siamo tutti ragazzi di Locri>>.
Aldo è animato dallo spirito di rottura dei giovani che credono nella loro causa e non hanno paura dell’utopia. Sogna un cambiamento radicale della cultura, adora naturalmente il vescovo Bregantini e non ha alcuna fiducia nella politica del nostro tempo, né di destra, né di sinistra. E’ interprete di una sfida senza schemi, magari un po’ confusa, come tutte le sfide di popolo, per giunta di un popolo giovane, possiede un’immensa capacità di coinvolgimento, immagina programmi a largo raggio, non conta su alcun finanziamento pubblico <<perché non ci accucceremo mai sotto una parte politica: sarebbe un tradimento e anche la nostra fine>>.
Ma i soldi servono e l’autofinanziamento è un’impresa quasi impossibile, bisogna trovare gente che ci creda, che abbia fiducia: <<A due anni dalla costituzione, il nostro movimento non ha ancora una sede, ma stiamo lavorando per averne tre: a Locri, a Polistena e a Reggio Calabria, dove abbiamo organizzato proprio pochi giorni fa un grande meeting coinvolgendo società civile, imprenditoria, magistrati antimafi, uomini di frontiera come Pietro Grasso e don Luigi Ciotti, qualche esponente della politica. Ma la copertura mediatica è stata modesta. I tempi della grande emotività sono lontani. Due anni fa eravamo la grande novità del Sud: tutto il mondo parlava dei ragazzi di Calabria disposti a farsi ammazzare per il riscatto della loro terra. Ora ci voleva la strage di Duisburg perché giornali e televisioni si ricordassero di noi>>.
Il calore e l’entusiasmo di questo giovanotto mi conquistano e non oso inquinarli con il disincanto della mia esperienza. Sarei tentato di chiedergli cinicamente cosa resti di quella meravigliosa ondata dell’autonno del 2005, ma evito la domanda diretta. Il movimento si è spaccato, una piccola parte ha trovato un generico patrocinio della politica e ha assunto una denominazione diversa: <<Forever>>. Hanno sede a Palazzo Nieddu e ottengono finanziamenti: realismo o forse opportunismo. La presidente Lucia Pelle è anche consigliere comunale.
Aldo Pecora non li considera come concorrenti, tutt’altro, ma è fiero di rappresentare il filone primigenio del movimento. <<Nessuno annacquera mai lo spirito di “Ammazzateci tutti”: sarà sempre quello del primo giorno. Nel forum del nostro sito si sono iscritti tuttora 3500 ragazzi da ogni parte d’Italia, i calabresi sono tra i 500 e i 600. Posso dire con orgoglio che abbiamo portato il nostro senso di rivalsa in campo nazionale: con l’odore e il dramma della Calabria, ma anche come un’idea giovanile di giustizia. Ci chiamano da tutte le parti per conferenze, dibattiti. Un po’ meno, purtroppo, in Calabria.
Nella nostra terra ci sono due poli: il coraggio estremo da una parte e l’indifferenza dell’altra che, naturalmente, è parente dalla paura. Da un lato prèsidi meravigliosi che si uniscono alla nostra causa e ci aprono le porte dei loro istituti e dall’altro scuole impenetrabili, come se vivessero nella terra di nessuno. La ‘ndrangheta è diventata una potenza mondiale, ma la sua base è qui nella Locride ed è proprio qui che bisogna stroncarla, toglierle il fiato e la linfa, convincendo i giovani che cambiare è possibile, che non sono condannati a vivere nell’incubo o a scegliere quasi per necessità la via della perdizione. Certo, alla base c’è il lavoro, deve esserci una prospettiva di vita onesta. In questo senso, il vescovo Bregantini sta facendo miracoli.>>
E con i toni musicali di una storia bella, Aldo mi racconta della moglie di un uomo della ‘ndrangheta condannato a due ergastoli che si presenta al vescovo con il figlio: <<”Non voglio che questo ragazzo faccia la fine del padre. Per favore, se lo prenda lei.” IL monsignore s’illumina di speranza, vede una breccia in quello che sembrava un muro impenetrabile. E oggi quel ragazzo è capo di una cooperativa che coltiva piccoli frutti della terra bene accolti dal mercato, fa un lavoro onesto e si guadagna da vivere>>.
Aldo ha pensieri profondi e fantasiosi, ha mantenuto la sua grinta arricchendola con il bene della maturità. Ma se gli chiedi <<quanti anni hai?>>, puoi anche svenire. Ventuno. Si laureerà in giurisprudenza a Roma, farà la scuola di specializzazione in Calabria e all’orizzonte un’idea, una soltanto, ma come un caposaldo della vita: <<Voglio fare il magistrato>>. Ragazzi del Sud, una generazione che avanza.
Rosanna Scopelliti ha ventitré anni, sta per laurearsi in lettere a Roma. Ascolta Aldo con un affetto che mi sembra molto devoto. E’ sottile, dolcissima, di una bellezza che resta sospesa nell’immaginazione. Ma il sospetto di una femminilità amorevole, antica e gregaria, non ti sfiora nemmeno: le parole di Rosanna sono artigli contro il male che la vita le ha fatto, male ancora presente, ingigantito dal tempo, dal volume degli affari che il carnefice realizza nel mondo e invelenito da un’ingiustizia che non si estingue, perché gli assassini di suo padre sono stati archiviati come fantasmi: la Cassazione ha assolto tutti gli imputati del processo. Impossibile dimenticare.
<<Il giorno che ammazzarono mio padre avevo sette anni, ma lui è presente in me, perché quando il lavoro di magistrato impegnato in grandi processi, compreso quello contro gli assassini di Aldo Moro, gli consentiva di stare con noi, era una presenza che riempiva la nostra casa di affetto, tenerezza, intelligenza, fiducia. Eravamo in vacanza quando gli spararono addosso. E ho odiato la Calabria. Ci hanno portate via per ragioni di sicurezza, ma in realtà mia madre e io siamo fuggite da questa terra che, tra l’altro, ha dimenticato mio padre. Non c’è una strada dedicata a lui, un busto, un’iniziativa pubblica, qualcosa che consegni alla memoria della gente il ricordo del suo sacrificio. Il classismo anche tra i martiri: i Falcone e Borsellino, dinanzi ai quali tutti ci inchiniamo, e i dimenticati. Lo ha denunciato anche il giudice Antonino Caponnetto, padre spirituale di molti eroici magistrati. Ma adesso, come vede, sono tornata grazie al movimento “Ammazzateci tutti” al quale ho aderito: loro mi hanno chiamata, coinvolta, conquistata. E io ho una ragione in più per lottare: mio padre. Combatto per me e per lui. Vivo a Roma, ma torno, sono presente, il movimento ha dato una ragione alla mia vita.>> Aldo la guarda con occhi da innamorato. E io pure.
I due ragazzi mi portano fino a Siderno a mangiare un po’ di pesce su un’auto vecchia e scassata che immagino sia sorella del mitico trenino che mi ha condotto qui, ma è una giornata di cui non ho sprecato un solo momento. La stanchezza evapora. Continuo a sentirmi contento. Domani mi aspetta il vescovo Bregantini che –non v’inganni il modestro palazzo curiale – vive anche lui sul meraviglioso marciapiede che stiamo percorrendo insieme.
[…]
L’indomani Aldo Pecora e Rosanna Scopelliti impegnano la loro scassatissima e indomita auto per accompagnarmi all’aeroporto di Reggio Calabria. E prima dell’imbarco, tirano fuori la maglietta scura di <<Ammazzateci tutti>> con la quale, dovunque tu sia nato, diventi <<Ragazzo di Calabria>>. Me la donano: <<La porti a Milano, la porti dovunque>>. Io li guardo imbarazzato: <<Ehi amici, state ingaggiando un ragazzo-nonno…>>.
Un abbraccio. L’aereo è puntuale.
Grazie, Nonno Candido.