L’indifferenza di Barcellona Pozzo di Gotto accompagna il ricordo di Beppe Alfano

Pozzo di Sangue Fino al dicembre del 1992 Barcellona Pozzo di Gotto è un paese del messinese conosciuto perché ospita un manicomio criminale. Poi Nitto Santapaola e alcune frange di “cursoti”, quelli di via Antico Corso a Catania, lo trasformano in un campo di battaglia.
In provincia di Messina, la cosiddetta “provincia babba”, si può morire di mafia.
Questo Beppe Alfano lo sa e lo scrive. Scrive tante altre cose: è l’unico che ha la voglia e il coraggio di non fermarsi alle apparenze. Indaga su truffe, su traffici occulti, scopre che Nitto Santapaola trascorre la propria latitanza a pochi metri da casa sua.
Fa il giornalista. Come dovrebbe essere fatto. Per questo verrà ucciso.

Un paio di pentiti raccontano che la sua eliminazione merita un summit: Bagarella, Brusca e Gioè si sarebbero spostati a Catania per definire con i boss barcellonesi la sua condanna.
Beppe Alfano viene assassinato dalla mafia l’8 gennaio del 1993. In provincia di Messina si può morire di mafia: in quindici anni gli omicidi saranno 97 e 29 i casi di lupara bianca.

A sedici anni di distanza da quel giorno, il ricordo della famiglia Alfano, con i figli Sonia e Chicco, in particolare, è, come sempre, toccante e commosso, ma Barcellona Pozzo di Gotto reagisce in maniera assai discutibile e fredda.

Aleggia, come una cappa opprimente, per tutti i lavori della mattina, la scelta di alcuni presidi delle scuole del paese di negare il permesso di assistere al dibattito presso l’Oratorio salesiano alle scolaresche. In platea parecchie sedie vuote: poche le scuole autorizzate, pochissimi i “dissidenti”, quelli che hanno scelto di non rispettare la disposizione, errata, dei presidi.
Barcellona Pozzo di Gotto si volta dall’altra parte, preferisce non guardare, ignorare. E’ l’indifferenza il sentimento predominante. Anche la chiesa nella quale pomeriggio viene celebrata una liturgia commemorativa, è desolatamente vuota.
 
Eppure, chi c’era l’anno scorso ricorda una grande, grandissima, partecipazione di gente. Cosa è cambiato in un anno?

Il dibattito, organizzato dall’Associazione nazionale vittime della mafia, di cui Sonia Alfano è presidente, e dal movimento Ammazzateci tutti, dal titolo “Musica e parole in ricordo di Beppe Alfano”, comincia e va avanti.
Interviene l’attore Alessio Vassallo, interprete della fiction su Graziella Campagna, altra vittima innocente di Cosa nostra, interviene Max Brugnone, giovane coordinatore di Ammazzateci tutti in una Lombardia sempre più colonizzata dalle mafie, Angelina Manca madre del medico urologo Attilio Manca, deceduto l’11 febbraio del 2004 in circostanze misteriose.

Chiede giustizia: è una donna che porta dentro di sé un dolore immenso. Un dolore manifestato con una dignità e una nobiltà difficili da rintracciare al giorno d’oggi.

Ma il dato più significativo della mattinata è la costituzione della sezione provinciale del movimento antimafia Ammazzateci tutti, guidata dalla giovanissima, ma altrettanto coraggiosa e decisa, Chiara Siragusano. Solo attraverso la spinta dei giovani la lotta alle mafie potrà essere vinta.
 
Dopo il dibattito, il concerto di Daniele Sansone e degli A67, gruppo musicale nato dalle strade di Scampia, a Napoli. La musica come veicolo della legalità.

Nel pomeriggio, il clou dei lavori nel dibattito, moderato da Antonino Monteleone, dal tema “Da Beppe Alfano ad Adolfo Parmaliana: le istituzioni deviate a Barcellona. Dopo i saluti di Aldo Pecora, portavoce nazionale di Ammazzateci tutti, il grido di dolore di Sonia Alfano si trasforma in un durissimo j’accuse nei confronti della cittadinanza di Barcellona Pozzo di Gotto, indifferente, anzi, ostile, al ricordo di Beppe Alfano, e verso una certa magistratura, collusa, colpevole, vigliacca.

E’ toccante il ricordo, sfiduciato, di Biagio Parmaliana, fratello del professor Adolfo Parmaliana, che, appena un anno fa, seguiva in platea, il dibattito in ricordo di Beppe Alfano: “Istituzioni deviate. Basti pensare che, nonostante la legge, a Barcellona Pozzo di Gotto, c’è un procuratore in carica da sedici anni (cioè da quando fu istituita la Procura nel 1992, ndi) quando, invece, la legge prevede che possa restare in carica per un massimo di otto. Adolfo Parmaliana – conclude – non aveva alcuna fiducia nelle istituzioni, e infatti, per suicidarsi, si è spostato fino a Patti, affinché il suo caso non venisse trattato dai magistrati barcellonesi”.

La parola passa al vice questore aggiunto di Palermo, Gioacchino Genchi, già consulente di diversi magistrati, tra i quali Luigi De Magistris. Con il suo contributo sono stati risolti alcuni dei delitti più nebulosi: "Ci sono molti modi per eliminare persone scomode. Alfano – dice Genchi – e' stato fatto assassinare dalla mafia, mentre Parmaliana e' stato fatto morire in altro modo. Entrambi comunque sono morti per una società migliore. I parenti dei mafiosi, le mogli, costrette a sposare mariti che non amavano, sono vittime quanto i parenti dei morti. E’ necessario – conclude il vice questore aggiunto – che la Chiesa, partendo dalle parrocchie e arrivando fino al Papa, riesca a essere una guida, soprattutto per i più giovani, altrimenti continuerà a essere uno di quei poteri immutabili”.

C’è anche Carlo Vulpio, giornalista del Corriere della Sera, al quale è stato letteralmente scippato il caso Catanzaro, di cui si è occupato per anni: “Si è più vulnerabili quando si è soli – spiega Vulpio – De Magistris era solo, come Clementina Forleo, così come erano soli Beppe Alfano e Adolfo Parmaliana. Sulle condizioni di Barcellona Pozzo di Gotto – aggiunge – basterebbe guardare gli atti del Comune, il piano regolatore, se esiste…”.

Conclude i lavori il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, un uomo, un magistrato formatosi sotto l’attenta e sapiente guida di Paolo Borsellino: “Vale la pena continuare a combattere – esorta Ingroia – I cittadini ci  chiedono una giustizia efficiente ed imparziale, senza privilegi di casta. La nostra fortuna, se così possiamo chiamarla, è quella di essere venuti dopo uomini come Costa, Falcone e Borsellino. Siamo vivi perché, dopo i loro sacrifici, si è capita l’importanza del pool. Costa, per esempio, era costretto a firmare i mandati di cattura da solo. L’isolamento uccide: Alfano e Parmaliana erano uomini soli”.

 
Claudio Cordova
Strill.it

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