9 agosto 1991 – 9 Agosto 2008. Diciassette anni di silenzio e di impunità ci separano dal barbaro assassinio del giudice Antonino Scopelliti. Pochi i fatti accertati, ma soprattutto, nessuna giustizia per la vittima di quella ferocia e per la sua famiglia. Restano ancora nell’ ombra il movente e i mandanti del delitto.
Una vita spezzata in pochi, terribili istanti, per la quale non vi è ancora oggi la consolazione possibile, seppur minima, della verità e della giustizia. Come mandante del delitto, venne condannato all’ ergastolo, in primo grado, Pietro Aglieri, capomandamento di Santa Maria del Gesù dopo l’ ascesa dei corleonesi e influente membro della Cupola. Aglieri, imputato anche nel processo per l’ omicidio di Salvo Lima e in quelli per le stragi di Capaci e di via D’ Amelio e attualmente detenuto in carcere , venne tuttavia assolto dalla Corte di Cassazione perché accusato da soli pentiti.
Il 19 Luglio 1999, infatti, la Suprema Corte depositò le motivazioni della sentenza di assoluzione per i componenti della cupola mafiosa accusati, condannati in primo grado per l'assassinio del giudice Scopelliti e assolti in appello. Secondo la Cassazione per giungere a una condanna non sarebbero bastate le sole accuse dei collaboratori di giustizia, che in questo caso sarebbero state anche discordanti. Non risultava dunque suffragata da adeguati riscontri, a parere dei giudici, la tesi del boss della Sacra Corona Unita Marino Pulito, il quale, divenuto collaboratore di giustizia, aveva rivelato che alla base dell’ omicidio ci sarebbe stato un fallito tentativo di corruzione nei confronti del giudice Scopelliti.
A questi, infatti, sarebbero stati offerti, senza successo, cinque miliardi per aggiustare il processo che vedeva imputati i vertici della cupola siciliana. Sarebbe stata proprio la sua intransigenza verso questa soluzione a scatenare l' ira dei corleonesi e a decretarne la condanna a morte. Per compiere il delitto, si sarebbero mosse insieme la mafia siciliana e la ‘ndrangheta calabrese, e quest’ ultima avrebbe fornito gli esecutori materiali, sebbene la posizione processuale dei calabresi, i fratelli Antonio, Antonino e Giuseppe Garonfolo e di Luigi Molinetti, sia stata stralciata nella richiesta di rinvio a giudizio. Ma forse, dietro quel delitto, c’era soprattutto la volontà delle cosche di lanciare un segnale alla politica, perché fosse bloccato il maxiprocesso.
Diciassette anni dopo, il Movimento “Ammazzateci tutti” e la Fondazione Scopelliti, invitano la comunità reggina, i suoi rappresentanti e le istituzioni tutte ad unirsi nella lotta contro ogni connivenza, e ad intraprendere insieme quel cammino, troppo a lungo disatteso, di confronto e di concreta partecipazione.