Allo stesso modo il processo penale, così come le indagini di polizia giudiziaria, sono ricostruzioni ex post di fatti che, per giungere ad un giudizio di colpevolezza devono – in assenza di confessioni del reo-, tra l’altro, trovare conforto in una ricostruzione coerente del fatto e in una motivazione logica del giudizio di colpevolezza. Tanto, e per fortuna, lo si deve alle regole democratiche della stato di diritto e alla necessità che, soprattutto, nella materia della libertà personale il giudizio trovato all’interno del processo rappresenti, sotto il profilo della categoria scientifica della probabilità e della veridicità, un giudizio quanto più possibile prossimo alla verità reale che è cosa necessariamente vicina alla verità processuale, questo proprio perché la seconda è ricostruzione ex post che segue le leggi della probabilità e non della certezza. Accade così molto spesso, ma ciò è assolutamente indispensabile per un sistema giuridico maturo, che la ricostruzione di fatti possa mutare in diversi gradi di giudizio così come che, ferma la ricostruzione dei fatti, possa mutare il giudizio di colpevolezza a carico di imputati in funzione dell’iter logico motivazionale seguito dai giudici investiti di quella valutazione.
Il curioso di informazione in merito alle vicende del diritto deve sempre partire dal presupposto che la situazione sopra esposta è una normalità poiché ogni uomo nel suo libero convincimento ed in funzione della propria preparazione giuridica può arrivare a diversi risultati pur valutando il medesimo fatto o la medesima ricostruzione ex post di fatti. Così come, allo stesso modo, quel curioso deve porre attenzione alla circostanza che le leggi dello stato, soprattutto in materia penale, impongono di rendere chiari e inequivocabili i comportamenti che si possono considerare reati e le regole necessarie per stabilirlo ( c.d. tipicità della fattispecie criminosa). Accade quindi che un comportamento o un insieme di comportamenti, all’interno del processo penale, devono essere riguardati con riferimento ad una condotta descritta nella legge come reato al fine di potere emettere una sentenza di condanna non essendo possibile che se quel comportamento cessa di avere validità ai fini di un giudizio di colpevolezza con riferimento a quello preso in considerazione, possa essere emessa comunque una sentenza di colpevolezza. L’argomento è già di per sé molto complesso per poterlo affrontare con estrema semplicità ma in realtà sto cercando di dire che ciò che può apparire “colpevole” a quel curioso del diritto spesso non è così rilevante se riguardato come condotta da valutare ai fini di una condanna per un reato previsto dalla legge e, pertanto, tipizzato dal codice ( per tipizzato si intende scandito da formule legislative c.d. precetto e sanzione).
Questa situazione già di per sé estremamente difficile ( non si può ovviamente pensare che le fattispecie criminose siano tutte “semplici” come il furto o l’omicidio) lo diviene ancora di più quando il giudizio investe fattispecie complesse come può essere quella del reato associativo di tipo mafioso. In questo caso l’opera enorme della dottrina e in particolare della giurisprudenza ( proprio nel rispetto del famoso brocardo nulla poena sine lege) , tende a tipizzare tutte le componenti di un reato quale quello associativo che ha struttura c.d. prulisoggettiva e necessità quindi della caratterizzazione dei ruoli associativi, del dolo di partecipazione ecc.. Tutte necessità queste sacrosante e imposte dal richiamato principio di civiltà giuridica probabilmente molto più datato vista la lingua in cui era stato scritto rispetto al più comunemente sbandierato “garantismo”.
Questo sbarramento di civiltà giuridica impedisce quindi di arrivare a sentenze di condanna per fatti che non rientrano perfettamente nei predetti comportamenti tipizzati dalla legge e dall’opera dell’interprete. Accade anche poi che, come prima richiamato, tutta la valutazione dei predetti comportamenti penalmente rilevanti e sovrapponibili a quelli che il legislatore ha tipizzato debbano essere provati all’interno delle regole processuali pena l’impossibilità di giungere ad un giudizio di colpevolezza se la prova raggiunta su un singolo comportamento sia stata acquisita senza il rispetto di quelle regole. Anche qui vi è la necessità di un maturo stato di diritto quale quella della certezza che il processo sia scandito da regole certe che garantiscano sia l’imputato che l’esercizio del potere punitivo statuale.
Emblematico in questo ragionamento è il caso di chi, condannato per un reato, si veda riconosciuta in Cassazione la sua non colpevolezza per effetto dell’inutilizzabilità di una prova, non perché non raggiunta, ma perché ricavata con lesione di regole processuali o sostanziali che la rendono di fatto inutilizzabile e quindi da non porre a base di una motivazione di colpevolezza. Questo molto sinteticamente il quadro delle vicende che interessano i processi penali, ovviamente, avendo riguardo a casi di questo tipo, a situazioni cioè in cui le assoluzioni non derivino dall’accertamento di un errore giudiziario ( cosa anch’essa, purtroppo, fisiologica in un sistema di grandi numeri) bensì, appunto, dall’individuazioni di errori procedurali nell’acquisizioni di prove poste a base di un giudizio di colpevolezza. In un maturo e moderno stato di diritto, tuttavia, il sistema di convivenza civile e democratica non si basa esclusivamente sull’esercizio della funzione giurisdizionale regolatrice di conflitti o esercente il potere punitivo, ma richiede necessariamente anche un’altrettanto maturo esercizio della funzione legislativa e, fuori dai poteri dello stato, un corretto esercizio del diritto di cronaca che è esercizio di un diritto costituzionalmente garantito. Nel campo dell’informazione, che è poi quello in cui la quasi totalità dei cittadini può trovare una risposta alla propria voglia di sapere del mondo in cui vive è quindi necessario che si dia conto non tanto degli errori giudiziari a fini delegittimanti ma che, nell’esercizio del dovere di informare, si cerchi il più possibile di ricercare la verità dell’informazione.
Verità dell’informazione che poi, sulla base delle proprie scelte, può arrivare a qualsiasi opinione ma che non può prescindere dalla rappresentazione dei fatti, quando di questo si tratti, ovvero dalle specificità tecniche che portano ad un giudizio di colpevolezza o di assoluzione nei casi più intricati come può essere quello dei reati associativi soprattutto con riferimento alla figura del concorrente episodico ed eventuale dell’associazione di tipo mafioso. L’informazione, infatti, dovrebbe cercare il più possibile di raccontare la verità delle cose al fine di formare realmente nei cittadini una coscienza della propria storia e del proprio tempo. Dovrebbe quindi essere necessario ad esempio scrivere sulle testate giornalistiche che tizio è stato assolto dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa perché si è stabilito in grado definitivo che questi non ha svolto alcuna opera di “fiancheggiamento” dell’associazione mafiosa così come si dovrebbe avere il rigore morale di scrivere sempre sulle medesime testate che caio è stato assolto da quella imputazione poichè le prove che ne dimostravano la colpevolezza sono state ritenute inutilizzabili.
{mosgoogle}Questo perché fermo restando la definitiva assoluzione di caio da comportamenti penalmente rilevanti rispetto alle ipotesi di accusa si possa discernere tra chi si è trovato suo malgrado a subire un giudizio di colpevolezza sbagliato e chi ha subito una formazione sbagliata del giudizio di colpevolezza. Un’opera di questo tipo consentirebbe forse, nel delicato settore di cui questa associazione si occupa, di discernere, sotto il profilo del giudizio non penale, tra le assoluzioni e le riabilitazioni. Forse chiunque ha bisogno di capire la verità della propria storia che poi è la storia del suo paese spesso e troppe volte raccontata partendo da un fine precostituito.