Non parteciperò perché non voglio assistere allo stesso copione scritto, letto ed interpretato un anno addietro con Luigi De Magistris: osannato come eroe, issato come vessillo di legalità, ma dato letteralmente in pasto al tritacarne mediatico come agnello sacrificale. Anzi, come Martire.
Non parteciperò a questa manifestazione, pur essendo consapevole dell'ennesima inaudita e vergognosa ecatombe giudiziaria attuata dal Csm.
Non parteciperò perché ormai siamo diventati prevedibili, perché proprio chi dovrebbe fare il tifo per noi poi ci delega quando le cose vanno bene, ci abbandona quando le situazioni prendono una piega sfavorevole.
Non parteciperò perché vorrei essere davvero “utile” in qualche modo al procuratore Apicella ed ai Pm Nuzzi e Varesani, ed a chi in silenzio – penso al Pm Bruni – ha provato a portare avanti con grande professionalità (e tante difficoltà) anche importanti e delicatissimi tronconi delle inchieste già sottratte a De Magistris da Dolcino Favi.
Eppure, avrei mille ed un motivo per prendermi domani dal palco di Piazza Farnese la mia buona parte di gratificazione personale, dato che assieme a Rosanna Scopelliti (e pochi altri) credo di aver contribuito non poco a scatenare quel tam-tam che è poi scaturito nell'ormai noto “Caso De Magistris”.
Non parteciperò, perché forse la mia assenza ed il mio silenzio faranno più rumore.
Ed in silenzio, ora, volgo lo sguardo verso tutti gli amici e le amiche delle associazioni e dei movimenti che costituiscono il variegato arco della società civile.
Volgo lo sguardo in silenzio, perché sembra che la società civile si sia ormai talmente assuefatta al precariato, da mutuarne inconsapevolmente modelli e connotati: non esistono più obiettivi di medio-lungo termine e abbiamo quasi paura nel domandarci “cosa vogliamo fare da grandi”, ovvero, cosa fare di tutte queste straordinarie esperienze di movimenti, associazioni e singoli cittadini.
Bisogna essere credibili, produrre fatti, e misurarci con chi ci critica soprattutto in base a quello che noi stessi saremmo riusciti a concretizzare.
E per far ciò il nostro biglietto da visita non potrà e non dovrà essere solo quello delle manifestazioni – importantissime, per carità – così come non potrà essere rappresentato dalle molteplici forme della cosiddetta mobilitazione intellettuale, la quale rischia di aver prodotto più parole, manifesti, libri e trattati epistemologici che risultati fattuali.
Provo ad azzardare una metafora calcistica, per meglio chiarire cosa voglio dire.
La nostra è una squadra piccola, con pochissimi mezzi ma con tante tante buone promesse; giocatori leali, con nomi non altisonanti, ma che, giocando con il cuore, sono riusciti a guadagnarsi la promozione in serie A.
Adesso non credo possibile, anche nella migliore delle ipotesi, riuscire a strappare lo scudetto dalle maglie delle squadre più blasonate; ma non trovo neanche giusto accontentarci di giocare solo per partecipare con l'unico intento di lottare per non retrocedere, magari però essendoci tolti lo sfizio di rubare una palla a Ibrahimovich, insaccare una punizione a Buffon o dribblare Kakà o Totti durante il campionato.
Io voglio – e qui mi permetto l'imperativo categorico – giocare in una squadra che sappia essere consapevole delle proprie possibilità e, sopratutto, che sappia capitalizzare il proprio impegno producendo tanti piccoli risultati. Una squadra che, pur se con abissali svantaggi oggettivi rispetto alle altre, sappia mantenersi costantemente nella prima metà della classifica e magari – sognare è lecito – ambire ad entrare in zona Champions.
Ed invece, purtroppo, ho sempre più l'impressione che una volta arrivati a questo punto – e qui spero davvero di sbagliarmi – per alcuni di noi non conti più tanto la squadra sfigata con la quale ha condiviso gioie e dolori, quanto riuscire ad esaltare le proprie individualità con l'intento, magari, di riuscire a giocare presto tardi con la stessa maglia di Ibrahimovich, Buffon, Kakà o Totti.
Ma forse è giusto anche così.
Per quel che mi riguarda, fino a quando avrò l'onore di restare alla guida di Ammazzateci Tutti, continuerò a desistere da questi ammiccamenti ed a rifuggire la tentazione di anteporre eventuali aspirazioni personali agli interessi della squadra e, soprattutto, ai sogni dei tifosi.
Continuerò a far crescere questa piccola squadra, in campo e nello spogliatoio. Non da allenatore, ma da allenatore-giocatore.
In questi tre anni abbiamo avuto diverse “parole d'ordine”: ribellione, speranza, impegno. La parola d'ordine di questo 2009 sarà “concretezza”.
Dovremo “educare con l'esempio” chi guarda a noi ormai con quella diffidenza tipica di chi effettivamente non può accontentarsi di manifestare pedissequamente il proprio dissenso ogni qual volta ve n'è occasione, ma anche chi invece in noi non ha mai creduto, vuoi per dietrologie ideologiche o anagrafiche, vuoi perché – forse – ci aveva già visto e proiettati alla stasi progettuale nella quale oggi sembriamo effettivamente essere piombati con mani e con piedi.
Credo perciò che sia necessario un ripensamento collettivo e generale da parte di tutti, per ristabilire assieme e con maggior spirito di servizio i punti di forza del nostro Movimento.
Penso ad un “Umanesimo dei Diritti”, forte delle proprie idealità, robusto, che riesca a guardare oltre l'orizzonte e darsi obiettivi di medio-lungo termine. Che si ispiri ai valori della fratellanza, della solidarietà, della giustizia sociale, con imprescindibile Senso dello Stato e delle Istituzioni.
Niente “manifestazioni ad orologeria”, organizzate giusto in tempo per accaparrarsi le telecamere di programmi televisivi impegnati come Annozero ed altri; niente presidi e sit-in “co-co-pro”, atti a sponsorizzare non tanto le nobili motivazioni quanto l'ego di coloro i quali li promuovono.
Abbiamo estremo bisogno di progettualità serie e credibili, per le quali forse sarà necessario stringere i denti ed accontentarsi di raggiungere tanti piccoli obiettivi passo dopo passo, risultato dopo risultato, battaglia dopo battaglia, con umiltà e dignità.
Ciò non vuol dire rivedere e rinnegare tutto quanto fatto fino ad oggi, bensì fare tesoro dell'esperienza per rinvigorire un impegno altrimenti destinato inesorabilmente ad estinguersi.
Per far ciò abbiamo bisogno di tutti, nessuno escluso. La nostra è la battaglia anche di chi già milita all'interno di partiti politici, associazioni di categoria, sindacati, organizzazioni religiose.
La nostra è la battaglia di tutte le persone oneste che ricoprono incarichi istituzionali, anche se c'è chi, pur ricomprendo incarichi istituzionali, certamente non rappresenta la parte sana della società italiana.
Pensare di essere autosufficienti, personalmente e come associazioni, e pensare che sol perché parte delle Istituzioni di diverso grado siano rappresentate da personaggi discutibili e che perciò ci si possa sentire autorizzati a delegittimarle per intero, sono gli errori più grandi e grossolani che si possano commettere.
Dobbiamo essere ultimi tra gli ultimi, mettendo da parte patenti di nobiltà e bandiere moralizzatrici.
Su questo, sulla serietà delle nostre intenzioni e sui risultati concreti che riusciremo a produrre, si misurerà la nostra incisività.
Portavoce nazionale "Ammazzateci Tutti"