{mosgoogle}Quando s'è visto perso, circondato dai poliziotti, ha avuto il tempo di infilarsi un pantalone e una maglia, e prima di scappare ha pensato solo di portarsi dietro i segreti della sua vita di boss. Ha preso tutti i pizzini, li ha messi dentro involucri di plastica, e li ha ingoiati. Voleva far sparire le tracce più compromettenti. Avrà pensato che alla peggio, se l'avessero catturato non glieli avrebbero trovati mai. Invece il capo mafia di Gela, Daniele Emmanuello, latitante da 11 anni, nel tentativo disperato di sfuggire alla cattura l'altro ieri mattina dal suo covo di Villarosa, provincia di Enna, è stato ucciso da uno dei colpi di pistola sparati dai poliziotti che lo inseguivano nella scarpata inghiottita dalla nebbia.
E dall'autopsia, sono saltati fuori i pizzini che aveva ingoiato. I medici legali glieli hanno trovati nell'esofago e nella pancia. Bigliettini avvolti nella plastica per evitare che si rendessero illeggibili e che ora sono finiti nelle mani dei magistrati della Dda di Caltanissetta che stanno provando a decifrarli. Come Bernardo Provenzano e altri boss di Cosa Nostra, anche Daniele Emmanuello comunicava così dalla sua latitanza nella masseria nelle campagne ennesi, rivoltata come un guanto dagli investigatori che hanno trovato una carta d'identità in bianco, un fucile, molte cartucce e un rilevatore di microspie. Poca roba e nessun altro pizzino. Quelli il boss li aveva ingoiati tutti.